Zero Dark Thirty è un film da Oscar con cui Kathryn Bigelow sintetizza in 150 minuti di cinema-reportage le tappe fondamentali della caccia a Osama bin Laden. Una caccia durata dieci anni che grazie alla caparbietà di una giovane agente della CIA ha portato all’uccisione di colui che dopo l’11 settembre 2001 era divenuto un fantasma capace di seminare terrore. A rendere questa pellicola unica nel suo genere è il grande lavoro di documentazione e scrittura compiuto da Mark Boal che attraverso fonti attendibili è riuscito a scovare e ricostruire i dettagli dell’operazione più segreta della storia degli Stati Uniti. Una sfida non solo narrativa ma anche produttiva che la coppia da Oscar (per The Hurt Locker) Bigelow-Boal ha superato a pieni voti regalando alla storia del cinema un film che difficilmente verrà dimenticato e che racconta con spietata lucidità cosa è stato Osama bin Laden per l’America dopo la tragedia delle Twin Towers. Partiamo dal titolo, Zero Dark Thirty, che in gergo militare indica trenta minuti dopo la mezzanotte ovvero significa aspettare che faccia abbastanza buio per sferrare l’attacco. Il buio è il grande protagonista del film: il buio sulle indagini, sulla fine di bin Laden, sugli abusi ai danni dei prigionieri ma soprattutto è il buio della notte che avvolge nelle sequenze finali la villetta di Abbottabad, l’ultimo covo del terrorista più ricercato al mondo. Un buio lacerato però da bagliori come il ritrovamento del fascicolo “dimenticato” che conduce all’identità del fidato corriere di bin Laden oppure il bagliore delle esplosioni che aprono un varco nella fortezza del mostro.L’uscita di Zero Dark Thirty (in America è stato vietato ai minori di 17 anni se non accompagnati) ha destato scalpore diventando un caso politico in particolare per le scene in cui vengono ricostruite le tecniche di interrogatorio forzato a cui vennero sottoposti i prigionieri per mano degli agenti della CIA. Torture che minavano il corpo (privazione del sonno, waterboarding) e lo spirito (l’uso umiliante del collare per cani) e che riportano alla mente le foto della prigione di Abu Ghraib. Il film della Bigelow mostra queste atrocità ma con esse anche il cambiamento dei metodi investigativi della CIA che, abbandonato l’interrogatorio forzato (bandito da Obama), inizia ad usare maggiormente “il cervello”. Ed è qui che entra in gioco la nostra protagonista: Maya, una donna misteriosa (la sua identità è ancora segreta) che grazie alla sua determinazione e tenacia è riuscita in quella che molti definivano un’impresa impossibile: catturare Osama bin Laden. Sul grande schermo Maya è l’attrice Jessica Chastain che per questa interpretazione è stata meritatamente candidata all’Oscar. Accurata è stata la scelta del cast dal momento che sia Boal che la Bigelow erano intenzionati a raccontare quegli uomini e quelle donne che sono stati i veri protagonisti di questa impresa. Per la prima volta lo spettatore ha la possibilità di “partecipare” alle indagini nonché alla notte dell’attacco al fianco di questi eroi. Risulta più che coinvolgente la scelta delle soggettive a infrarossi delle forze speciali (i Navy SEALs) mentre si fanno largo tra esplosioni e sparatorie nella “tana del lupo”. Usciti di sala sono molto i dubbi che affollano la nostra mente. Zero Dark Thirty fa riflettere e traccia la strada per un nuovo cinema capace di indagare la realtà senza autocelebrazioni. Nelle nostre orecchie risuona ancora una voce. È quella del soldato che giunto davanti alla stanza in cui si nasconde bin Laden sussurra tre volte: “Osama” prima di entrare ed ucciderlo. Osama è morto, la battiglia è vinta. Ma la guerra? La guerra contro il terrore in ogni suo forma? Purtroppo quella non ancora.