Regista, produzione e cast tecnico italiano; cast internazionale (con due premi Oscar) che recita in lingua inglese; co-produzione europea in associazione con una banca. Questi gli ingredienti base del nuovo film di Paolo Sorrentino. This must be the place, questo il titolo, esce oggi nelle sale italiane strizzando l’occhio a quella che per molti sembra essere una prossima candidatura agli Oscar. La storia è semplice: Cheyenne, una star annoiata e depressa che vive a Dublino, decide di tornare negli Stati Uniti per incontrare il padre morente con il quale non parla da anni ma arriva troppo tardi. Qui, leggendo i diari del padre che aveva vissuto in prima persona la tragedia dell’Olocausto, scopre che questo aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita alla ricerca di un criminale nazista. A questo punto Cheyenne decide di proseguire lui la ricerca del padre.Questa volta Sorrentino ha fatto le cose in grande, purtroppo lui è stato meno grande del solito. Se avete apprezzato e amato il Sorrentino degli esordi (L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore), This must the place vi farà storcere il naso. Gli addetti ai lavori ripetono che questa pellicola sarà il biglietto da visita di Sorrentino negli Stati Uniti. Certamente lo sarà, basta pensare al protagonista del film: Sean Penn. Però sarà, per noi, un biglietto da visita un po’ sbiadito. In This must be the place manca la forza dei precedenti film, complice un montaggio non all’altezza (già ne Il divo era percepibile l’assenza di Franchini), troppo frammentario che rende il film una successione di clip. Clip stilisticamente perfette in cui ritroviamo gli elementi cari al regista partenopeo: i centri commerciali, le scale mobili, le strade deserte, i personaggi malinconici e infantili. Senza parlare degli orpelli tecnici ormai al limite della sopportazione come i dolly sempre più acrobatici (addirittura uno parte da svariati metri d’altezza per immergersi nelle acque di una piscina) e le scene a rallentatore (ricordate la partita a pallavolo con cui inizia L’amico di famiglia?). Ritroviamo la forza di Sorrentino nei momenti più ironici e inaspettati del film (la scena del pattinatore al parco, quella dell’ascensore o quella del tè con le anziane signore sono sarcasmo allo stato puro). Ritornano i fantasmi dell’infanzia e il rapporto col padre, tutte tematiche già affrontate (e che avevavo turbato il protagonista de L’amico di famiglia). This must be the place è un film non originale, a partire dall’ovvietà delle scene in cui Sorrentino si è “relazionato” con gli immensi scenari americani, le stazioni di servizio, i giganteschi camion e pick-up. Elementi ormai entrati nell’immaginario comune a cui il regista non ha apportato alcuna “novità”. Sean Penn è bravo ma troppo monotematico a parte alcuni sporadici sprazzi di isterismo. È stancante vedere per due ore, tanto dura il film, un “dark” truccato che si aggira strisciando i piedi, parlando laconicamente e portando con sé, tipo coperta di Linus, prima un carrello della spesa poi un trolley. Sean Penn è il vero protagonista di un film per nulla corale. Gli altri compenenti del cast si limitano a brevi apparizioni come: Frances McDormand (la moglie di Cheyenne), Judd Hirsch (il cacciatore di nazisti) e Harry Dean Stanton.Nonostante tutto This must be the place va visto perché Sorrentino è uno dei pochi autori italiani meritevoli. Ha creato uno stile che in tanti (senza fare nomi) cercano di imitare senza riuscirci. Lui è il “capostipite” di una nuova generazione di registi capaci di mettersi in gioco all’estero. Non sappiamo come verrà accolto questo primo tentativo, l’importante è che il film sia stato venduto complice del fatto che Sean Penn ci ha messo, nel vero senso della parola se pensiamo alla locandina, la faccia. Osservando meglio la locandina ci domandiamo se l’espressione perplessa con cui è ritratto sia dovuta al risultato del film. Presto lo sapremo.