E’ andato in scena dal 10 al 14 marzo al Teatro dei Contrari di Roma Svegliami prodotto dalla compagnia teatrale loMAi, scritto, diretto e interpretato da Luca Di Giovanni. L’eleganza, l’ironia, il senso critico e l’espressività di Giorgio Gaber sono, come per tutti i grandi artisti, elementi difficili da trasmettere e riproporre. La chiave migliore è quella di traslarli ai giorni nostri con l’essenzialità. E’ la scelta fatta da Luca Di Giovanni, che ha portato in scena un testo poco conosciuto di Gaber: “Il grigio”, riadattandolo e interpretandolo.  Luca Di Giovanni è, insieme ad un topo, l’unico protagonista della storia. Un ragazzo di trent’anni che si è trincerato nelle mura della sua grande casa nuova col bel giardino, ha deciso di gettarsi nella più completa solitudine e misantropia abbandonando ogni cosa sia viva e in grado di comunicare. Non risponde al telefono che spacca il silenzio domestico con il suo continuo trillare, non risponde alle lettere della sua compagna Cristina, si convince di avere come unico obbiettivo quello di sistemare la sua casa nuova, mettere ordine fra gli scatoloni di cartone e i cassetti colmi di ricordi della sua vita.  E’ un processo di purificazione il suo, un cammino di pulizia da ogni senso di colpa, da ogni rimpianto ma soprattutto dai suoi 30 anni, che nel 2000 suonano pesanti come sassi. E’ all’apice del nervosismo, dello sconforto e della voglia di riscatto dai vincoli imposti e dagli obblighi familiari.  Ma in questa apatia e desolazione salta fuori un problema, un inconveniente nel castello di carta di pace e silenzio che si è costruito: un rumore, un costante sibilo che lo tiene sveglio e non gli consente di agire e concentrarsi. Ne parla anche col suo vicino di casa, unico contatto con un essere vivente. Un topo, il “grigio” si muove soavemente nella casa, si aggira come un ladro, si impossessa di tutti gli spazi e non si fa acchiappare. Diventa per Antonio una esilarante nevrosi che lo porta a riempire la casa di formaggio, di colla ed in seguito ad installare delle telecamere con le quali fa delle riprese artistiche: il suo unico impiego diventa, col passare dei giorni la caccia all’animale. Parla solo del topo, si relaziona solo col topo, fino ad affezionarsi e ad ingelosirsi del topo in un crescendo di paradossi e comicità che rendono lo spettacolo tragicomico.  Il legame tra l’animale e l’uomo diventa ossessivo. Antonio diventa l’animale: si denuda, si cosparge di grigio, si accovaccia sulla sedia e, illuminato da luci blu appare una statua greca dall’espressione sofferente. Dà inizio al suo ultimo sfogo rivolgendosi a un Dio che si è divertito a donare al corpo umano una perfezione che contrasta con lo squallore della sua anima e con ciò che gli sta intorno. “Hai ancora qualcosa da dirmi?” urla Antonio al suo Dio. Perfetto Luca Di Giovanni nel riuscire a rendere vivo il personaggio e il suo dramma, cosa non semplice data l’ essenzialità della sua struttura. Perfetto anche il testo, elegante, commuovente, comico, intensissimo: Gaber avrebbe apprezzato un lavoro che raffigura l’uomo per quello che è, un animale incapace di distaccarsi dal sociale.