Strane coincidenze parlerebbero di uno Shakespeare in realtà siciliano, un tale Michele Agnolo (o Michelangelo) Florio (Crollalanza dal lato materno) che, per sfuggire alle persecuzioni religiose, visse tra Messina, Venezia, Verona, Stratford e Londra. Crollalanza fu autore di molte tragedie e commedie, alcune delle quali sembrano essere la versione originaria di altre ben note opere attribuite a Shakespeare, come Troppu trafficu ppi nnenti, scritta in messinese, che potrebbe essere l’originale di Troppo rumore per nulla di Shakespeare, apparsa 50 anni dopo. A Stratford Crollalanza fu ospite di un oste che prese a chiamarlo affettuosamente “William”, in ricordo del figlio morto. A quel punto bastò tradurre in inglese il cognome della madre (da “Scrolla lanza” o “scrolla la lancia” in “shake the speare” o “shake speare”) ed ecco il nuovo cognome “Shakespeare”. Nacque così William Shakespeare, non più perseguibile come quacquero fuggiasco, ma costretto a tenere il mistero sulla sua vera identità e sulle sue origini.  E in Troppu trafficu ppi nnenti di Crollalanza-Shakespeare, il regista immagina una Messina esotica, viva, crocevia di magheggi che trasformano una festa nuziale in una giostra degli intrichi, seguendo quel dialetto carico di umori e ambiguità che dipana le trame di una vicenda originariamente semplice, ma dai risvolti complicatissimi. Se fosse tutto ciò il frutto di un carattere tipicamente mediterraneo, se non propriamente siciliano, ecco che potremmo anche credere, anche solo per una volta, che William Shakespeare, di Stratford- on Avon, sia potuto essere quel tale Michele Angelo Florio Crollalanza partito in fuga da Messina.  Merito particolare di questo spettacolo è la lingua siciliana illustre ricostruita nelle sue risvolti più nobili, con qualche spazio per la modernità del proverbiare e scelte fonetiche che oggi appaiono insolite, ma che dovevano essere consuete in corti dove il latino era la lingua diplomatica. Una solennità che scompare nei riquadri burleschi utilizzati dal Bardo anche nelle storie più cupe per stemperarne l’amaro.