Dopo aver vinto ben 7 Premi César (tra cui Miglior film, Miglior attrice, Miglior Sceneggiatura) Séraphine di Martin Provost esce nelle sale italiane. Protagonista la brava Yolande Moreau (Louise-Michel) capace di ridare vita sul grande schermo alla pittrice Séraphine de Senlis (1864-1942) i cui quadri dai colori brillanti e vibranti sono esposti oggi nelle più famose gallerie d’arte del mondo.La storia ripercorre gli ultimi trent’anni della geniale e stravagante artista: dall’incontro con il suo scopritore, all’internamento nell’ospedale psichiatrico Clermont-de-l’Oise. Ma chi era Séraphine de Senlis? Modesta governante, nel 1912 si reca come domestica nell’appartamento di Wilhelm Uhde (interpretato dal bravo Ulrich Tukur già apprezzato ne Le vite degli altri e Il nastro bianco), collezionista e critico d’arte tedesco nonché primo ad acquistare un quadro di Picasso e scopritore del pittore Henri Rousseau. Sarà Uhde che, dopo essere rimasto affascinato da una natura morta di Séraphine, la incoraggerà nel continuare a dipingere. Ma purtroppo scoppia la guerra e Uhde è costretto a tornare in Germania dimenticandosi della pittrice. Tornato in Francia (nel 1927) il collezionista “riscopre” Séraphine e decide così di supportarla. L’artista comincia a riscuotere successo ma la crisi del ’29 la getta in uno stato di ansia: le stravaganze passate assumono la portata di stati mentali alterati che la porteranno al ricovero. Dal suo internamento nell’ospedale psichiatrico Séraphine smetterà di dipingere.“Non avrei mai fatto questo film senza Yolande” afferma il regista Martin Provost. Infatti l’attrice ci regala una delle sue migliori interpretazioni in un film che nonostante il cast, la fotografia e i costumi risulta troppo didascalico. La pellicola è incentrata sul rapporto che legò Séraphine e Uhde, un rapporto misterioso di due persone appartenenti a due ceti opposti, forse un rapporto sentimentale benchè il critico fosse omosessuale. La regia “sobria e rigorosa, leggermente trattenuta”, come la definisce lo stesso regista, potrebbe non cattura lo spettatore. Però Provost è riuscito nel suo intento principale: far conoscere al grande pubblico un’artista dimenticata capace, secondo il regista, “di conservare la propria autonomia, anche se questo significava accettare il più ingrato dei lavori”.