Sempre più spesso sentiamo parlare di amici, conoscenti, studenti o colleghi di lavoro che si chiudono in casa. Purtroppo le ricerche parlano di un fenomeno che si diffonde a macchia d’olio: milioni di persone nel mondo, circa 100.000 in Italia, che presentano un problema di ritiro sociale.
Il fenomeno è stato riconosciuto inizialmente in Giappone negli anni ’80, ma è presente e continua a diffondersi anche in Europa e in America. Al riguardo è stata coniata la parola Hikikomori, che significa “stare in disparte, ritirarsi”. Una vera e propria epidemia visto che si parla di milioni di persone che si sentono sopraffatte, che sentono di non poter realizzare i loro obiettivi di vita nella società e reagiscono isolandosi.
“L’isolamento corrisponde al rifiutarsi simbolicamente di pagare i costi psicologici richiesti dall’interazione con gli altri. I propri obiettivi si raggiungono invece investendo nella vita”, spiega Gianni Lanari, psicoterapeuta responsabile del Pronto Soccorso Psicologico “Roma Est”.
Il fatto che così tante persone si chiudano, non può comunque lasciarci indifferenti.
“Il processo di chiusura è graduale, ci sono 3 stadi, e più tardi si interviene e più diventa difficile l’uscita dall’isolamento. Più tempo passiamo nella chiusura, e più è facile che si sviluppino pensieri paranoici o depressivi. Più tempo siamo isolati, e più si rende necessario un periodo di ‘re-inserimento sociale’, un periodo di ri-apprendimento dello stare insieme, fattore che dovrebbe essere tenuto particolarmente in considerazione per chi è stato isolato ed anche detenuto per lunghi periodi. E questo dato è sicuramente sconcertante: ci si può autorecludere anche in carcere, quindi anche in assenza di interne”, sostiene Paolo Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia.
Dal momento che una persona chiudendosi dichiara implicitamente il suo fallimento nella relazione con l’altro, diventa indispensabile l’intervento esterno, della scuola, dei compagni, della famiglia e della comunità. Non è più un problema individuale, ma un problema di salute della comunità. Un grande spreco di un patrimonio umano.