È un assolato pomeriggio di giugno che fa da cornice all’ultimo concerto della Stagione Sinfonica all’Auditorium Conciliazione. Quasi per rendere più nostalgico il commiato dal pubblico, l’Orchestra Sinfonica di Roma, diretta magistralmente dal Maestro Francesco La Vecchia, ha eseguito la Sinfonia n. 6 di Gustav Mahler ,composizione che racchiude in sé la poliedricità dell’esistenza. Gioia, dolore, tristezza, nostalgia, grandezza e tragedia. Perché tra tutte le sinfonie del compositore austriaco (di origine boema) la Sesta trasmette una sensazione di disperazione che si trasforma in struggimento per l’ineluttabilità dell’Irrisolvibile. Eppure la Sinfonia è stata scritta in un periodo felice del compositore che durante le estati del 1903 e del 1904 a Maiernigg, una località della Carinzia, si dedicò alla creazione di una composizione che lui stesso avrebbe definito espressione di tutte le crudeltà sofferte. Forse il risultato delle sue fatiche era una premonizione delle disgrazie che di lì a poco si sarebbero abbattute sulla sua famiglia: la morte della primogenita, il litigio con l’Opera di Vienna e la diagnosi della sua malattia cardiaca che fu verdetto di morte. Evidente espressione di pessimismo in musica, la Sesta ha tuttavia il pregio di mettere a nudo la visione della vita dell’Autore, creando un’atmosfera di attesa, quasi una domanda ossessiva senza risposta. Un Sinfonia “uscita dal cuore” riferisce la moglie Alma Schindler alla quale pare sia dedicato il secondo tema del primo movimento. A noi la certezza che anche l’interpretazione sia “uscita dal cuore”