Tutto pronto per l’inaugurazione del 42° Flaiano Film Festival al Multiplex Arca oggi 26 giugno. Il festival si protrarrà per due settimane e presenterà svariate rassegne dedicate, tra le altre, al cinema per ragazzi, ai film dell’ultima stagione cinematografica, alla commedia francese, ai film tratti da opere letterarie, ai film indipendenti. A completare il tutto il Nuovo cinema italiano-Concorso MIBACT e doverosi omaggi nel centenario della nascita a Orson Welles, Frank Sinatra, Ingrid Bergman e Mario Monicelli. Domani sera, per l’apertura, a presentare la kermesse interverranno il critico cinematografico Enrico Magrelli, Claudio Trionfera, Gian Piero Consoli, docente di Storia del cinema all’Università “G. d’Annunzio” di Chieti, il regista Saverio Costanzo e l’attrice Alba Rohrwacher dei quali sarà proiettato “Hungry Hearts” (Sala 5 ore 20,30): Mina e Jude si incontrano per la prima volta in un’angusta toilette di un ristorante cinese. Da lì nasce una relazione che darà alla luce un bambino e li porterà al matrimonio. Dal colloquio con una veggente a pagamento Mina si convince che il suo sarà un figlio speciale che andrà protetto da ogni impurità. Inizia a coltivare ortaggi sul terrazzo di casa e per mesi non lo fa uscire imponendo regole alimentari che ne impediscono la regolare crescita. Jude decide di opporsi a queste scelte portando di nascosto il figlio da un medico che mette in evidenza la gravità della situazione. Mina però cede solo apparentemente alle richieste del coniuge e il conflitto si fa più acuto. Il disagio, il malessere esistenziale sono da sempre al centro del cinema di Saverio Costanzo. Che si tratti di palestinesi di seminaristi o dei giovani, la sua macchina da presa inquadra situazioni che sono al contempo estreme e quotidiane. È quanto accade anche in questo film che trae ispirazione dal romanzo “Il bambino indaco” di Marco Franzoso in cui Costanzo mette a frutto la propria profonda conoscenza delle dinamiche del thriller per porla al servizio di una riflessione profonda sulla genitorialità al tempo degli OGM ma non solo. È stato presentato in concorso al Festival di Venezia del 2014, dove ha vinto due Coppe Volpi per le interpretazioni di Adam Driver e Alba Rohrwacher.

Tra le prime proposte del Festival figurano in Sala 4 alle ore 18,00 “Piccole crepe, grossi guai” di Pierre Salvadori: Antoine ha un’età indefinita come il malessere che gli ha tolto il sonno e il desiderio di essere nella vita. Sceso dal palcoscenico, dove si esibiva col suo complesso rock, cerca e trova lavoro in un anonimo condominio parigino. Depresso, insonne e consumatore di sostanze stupefacenti, Antoine diventa il portinaio di una piccola comunità altrettanto instabile. Tra loro c’è Mathilde, la moglie borghese di Serge, ossessionata da una crepa in salotto e dal prossimo che assiste attraverso attività solidali. Fragile e tormentata da un malessere in levare, Mathilde produrrà in Antoine un bagliore e un’intenzione di vita. Il titolo italiano, inteso a rassicurare lo spettatore e a sdrammatizzare i personaggi, non rende merito alla commedia umana e lunare di Pierre Salvadori. Autore di commedie singolari, che veicolano i tormenti esistenziali e la difficoltà di essere, Salvadori ‘alloggia’ il suo film dentro un cortile condominiale, quello del titolo originale (Dans la cour), col pavé consumato e le piante ornamentali sfiorite. Il cortile, come tutte le aree comuni di un immobile, rimanda subito a un’agorà consueta di rancori e soprusi reciproci, di residenti e proprietari tronfi dentro due camere e una cucina, ma in quello di Salvadori nessuno è veramente odioso. Non lo è il fiscale cavillatore di Nicolas Bouchaud, che solleva grane ogni mattina, non lo è il vecchio sindacalista di Féodor Atkine dagli echi staliniani, non lo è l’agente di sicurezza senza fissa dimora di Oleg Kupchik, membro di una setta luminosa, non lo è il pusher di Pio Marmaï, che condivide col protagonista il suo commercio.

Alle ore 21,30 (Sala 4) è la volta di Stanley Kubrick e del suo “Barry Lindon” in versione originale sottotitolata: Barry è un giovane di bell’aspetto, ma dalle origini modeste. Rifiutato dalla donna che ama, intraprende la carriera militare dopo un duello con l’avversario in amore. Stanco della vita militare, con un espediente entra nell’esercito prussiano, divenendo il beniamino del capitano Potzdorf. Ma anche questa volta la fortuna gli volta le spalle e, costretto a fuggire, diventa il compare di un raffinato avventuriero. Con la spada e la pistola si fa largo nella bella società. Ormai è un uomo appagato. Gli manca solo il blasone. Sposando la contessa di Lyndon e assumendone il cognome colma la lacuna. Ma sarà un matrimonio infelice. Il figlio della contessa, nato da un altro matrimonio, lo odia e per molti anni progetterà una vendetta, che si compirà quando affronterà il patrigno in duello. Barry Lyndon perderà una gamba e i suoi averi. Un malinconico esilio segna il suo definitivo destino. Tratto dal noto romanzo settecentesco di William Makepeace Thackeray, Barry Lyndon si può definire un film anomalo nella produzione del grande Stanley Kubrik. Film di difficile collocazione e che ha spaventato la critica al suo apparire a causa della mancanza di una chiave di lettura che conducesse alle origini del progetto. Il misterioso Kubrik non ha mai chiarito le sue intenzioni. Ma ciò non impedisce di giudicare il film una splendida anomalia.

In Sala 3 alle ore 18,00 omaggio a Mario Monicelli nel centenario della nascita con “Guardie e Ladri” (Ingresso libero): un abile truffatore viene arrestato ma riesce a fuggire e a nascondersi. Il poliziotto che gli dava la caccia perderà il posto se non riuscirà a riprenderlo. La ricerca è lunga, ma alla fine scova l’abitazione. Il poliziotto però si affeziona all’ignara famigliola e, d’accordo col ladro, tacerà il suo arresto giustificando con un viaggio l’assenza.

A seguire infine alle ore 21,30 “Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese: la maggior parte delle pellicole dedicate al richiamo edonistico alla malavita indugiano su figure criminali presentandone un percorso che ha del programmatico: l’ascesa e il successivo declino, vittime della loro stessa ambizione. Ma Scorsese dimostra un talento raro costruendo un film esplicitamente immorale. Lo script distilla ricordi in una finzione grottesca che vira a volte nel documentario. È il regista giusto per questo materiale, figlio di Little Italy, cresciuto in un ghetto siciliano a Manhattan e forgiato quindi da un background di un certo tipo. Il plot, che si svolge in un arco di tempo pressappoco corrispondente ad un quarto di secolo, ha un’atmosfera epica nonostante la sua prospettiva intimista.