Una vera e propria pandemia, i cui numeri sono destinati a crescere. La depressione, il “male oscuro” che attualmente affligge più di 450 milioni di persone in tutto il mondo e ne uccide 800 000 l’anno, nel 2030 sarà la prima causa di morte (già ora si contende il triste podio con altre piaghe come il cancro e l’Aids) e la voce più onerosa sul libro nero dell’economia sanitaria. Secondo i dati diffusi dall’Oms, in concomitanza con l’apertura del primo Global Mental Health Summit organizzato ad Atene, la maggior parte dei casi ad oggi registrati si concentra nei Paesi in via di sviluppo. L’aggravante, per le nazioni emergenti, è lo scarso numero di risorse destinate dalla Sanità pubblica alla prevenzione e alla cura dei disturbi dell’umore: meno del 2% del budget di spesa complessivo. Circa la metà delle patologie mentali viene avvertita prima dei 14 anni di età e la gran parte dei paesi a basso o medio reddito ha soltanto uno psichiatra infantile ogni 1-4 milioni di abitanti. Oltre la metà dei suicidi ha tra i 15 e i 44 anni: il mal di vivere, purtroppo, è una triste escclusiva dell’età fertile. Il più alto numero di casi si registra tra la popolazione maschile dell’Europa dell’Est. In Italia lo scenario non è molto più confortante: secondo le stime pubblicate dall’Osservatorio nazionale salute donna, in collaborazione con Progetto Itaca, la depressione colpisce circa 15 milioni di persone, pari al 25% della popolazione, “quando solo nel 2000 erano poco più di 10 milioni, ed è la prima causa di disfunzionalità tra i 14 e i 44 anni di età; colpisce soprattutto le donne con un rapporto di 2 a 1 rispetto agli uomini dopo l’età puberale ed è in costante aumento”. La categoria più colpita è quella delle casalinghe (40% dei pazienti); a seguire, i pensionati (14,5%) e gli agricoltori (3,4%).