Caserta 1976. Faustino Ciaramella (l’esordiente Antimo Merolillo) ha diciotto anni e se non trova un lavoro a fine anno dovrà partire per il servizio militare. “Figlio unico di madre vedova” (Lina Sastri), Faustino suona la chitarra nell’orchestra del maestro Domenico Falasco (Toni Servillo), trombettista e bidello. L’esperienza con la colorata “Orchestra Falasco” finisce una sera di primavera. Ma per fortuna l’impresario, Raffaele Niro (Ernesto Mahieux), ha in serbo per Faustino una grande possibilità per l’estate: lavorare per il maestro Augusto Riverberi (Fabrizo Bentivoglio)…Lascia perdere, Johnny!, accolto calorosamente al Torino Film Festival, è una storia di musica, una passione per l’esordiente regista che gradualmente, grazie all’incontro col gruppo degli Avion Travel (il cui leader Peppe Servillo, fratello dell’attore Toni, interpreta nel film  Jerry Como), si è trasformata in un mestiere fatto da dilettante e poi in una complessa esperienza umana. Con gli Avion Travel Bentivoglio ha condiviso il palco per più di cento repliche in giro per l’Italia con l’operina La guerra vista dalla luna. Insieme al gruppo è nata la sua prima esperienza di regia, il cortometraggio Tipota, originato dai loro racconti. Le storie parlavano dei loro inizi, delle loro prime tournée, di un ragazzo che senza saperlo cerca il suo posto nel mondo e suonando trova una famiglia. Parlavano anche degli anni Settanta. Non posso dire di sentirne la nostalgia, ma li ricordo come anni di ingenuità, come un tempo in cui ci si affidava al futuro e agli altri con una certa incoscienza, ma anche con fiducia, continua Bentivoglio. Un tempo, per così dire, in cui i desideri contavano più delle possibilità, il talento non era un’ossessione e il rapporto con gli altri non solo un rapporto di concorrenza. Alla fine, dunque, sono questi tre gli elementi che hanno preso forma e si sono coagulati nella storia di Faustino Ciaramella: la musica, la famiglia, e l’ingenuità degli anni Settanta. Questa storia è stata pensata in tre parti, quasi in tre capitoli, ognuno dei quali si porta dentro il sentimento degli anni Settanta, ma anche l’eco di altre epoche, già passate o non ancora venute: gli anni Cinquanta, con Falasco e i suoi orchestrali; i Sessanta, che vivono nella figura del Maestro Riverberi e nella sua musica; gli anni Ottanta, allusi nella parte finale, con lo spettro del fallimento e della solitudine, segni di un nuovo tempo che sta per cominciare. La voce fuori campo è un elemento importante, fondamentale per tutto il film: non nasce da una scelta precostituita, ma dall’esatta individuazione del carattere del protagonista, del suo modo di stare al mondo. Faustino è un ragazzo che preferisce sempre fare un passo indietro piuttosto che un passo avanti, e questo è del tutto evidente dal rapporto tra le cose che dice e le cose che pensa. Incontrando una decina di ragazzi, musicisti dilettanti della provincia di Caserta, Bentivoglio si è trovato di fronte al suo protagonista in carne ed ossa, un ragazzo che ha l’esatta fisionomia fisica ed esistenziale di Faustino. Un incontro, così semplice e improvviso, che mi piace considerare una prova della verità e del valore di questa storia, e mi dà serenità e sicurezza nell’affrontare le difficoltà che verranno, conclude il regista.