Era il 1950 quando a Parigi per la prima volta andò in scena La cantatrice calva del drammaturgo franco rumeno Eugène Ionesco. Solo tre anni dopo, sempre a Parigi, Samuel Beckett avrebbe portato in scena Aspettando Godot. Così nasceva il teatro dell’assurdo. Ma come ogni opera di rottura che si rispetti, entrambi i rivoluzionari spettacoli vennero accolti freddamente. Solo qualche anno dopo ne venne compresa a pieno la grandezza. A distanza di oltre mezzo secolo questi due capisaldi della drammaturgia mondiale continuano ad emozionare. Questo è il caso dell’allestimento de La cantatrice calva in scena fino al 17 aprile al Teatro Eutheca di Roma. A firmarne la regia Giancarlo Fares. In scena solo quattro sedie. Sul palco, a delimitare il ring sul quale “lotteranno” i sei personaggi, il disegno di una casa stilizzata, simbolo di quel salotto borghese di fine ‘800 che Ionesco intedeva demolire e rovesciare. “Rivoluzione”, ecco cosa si trova alla base del pensiero del drammaturgo. Per Ionesco “la rivoluzione sta nel cambiare la mentalità”. Motivo per cui tutti gli elementi che avevano caratterizzato le precendenti opere teatrali perdono la loro comune concezione. Primo fra tutti il linguaggio, unico mezzo per rinnovare la visione del mondo. Fares, strizzando l’occhio alla biomeccanica di Mejerchol’d, dirige i sei attori concentrando l’attenzione dello spettatore sul ritmo, sulla mimica e sulle movenze di questi meschini e ipocriti personaggi guidati dalla loro confusione mentale. Ogni movimento, ogni intonazione, ogni spostamento sul palco è preciso, corale, quasi meccanico. I coniugi Smith (Claudia Campagnola e Stefano Thermes), i coniugi Martin (Sara Greco Valerio e Fabio Galadini), Mary la cameriera (Vania Venuti) e il capitano dei pompieri (Ariele Vincenti): questi i protagonisti dell’anti-commedia di Ionesco, entità deliranti “legate” dall’incomunicabilità. Ognuno di essi parla per frasi fatte e concetti scontati. Le storie che raccontano non hanno senso ma sono necesarie a trascorrere il tempo. Tempo che anch’esso ha perso “il suo ordine”, scandito dai rintocchi di una pendola che come dice il signor Smith: “funziona male. Ha lo spirito di contraddizione. Indica sempre il contrario dell’ora che è.”L’unico nota stonata di questo spettacolo molto bello e divertente (si ride dall’inizio alla fine), è la discutibile scelta di aver tagliato un po’ troppo il finale, rendendo meno percepibile quella ciclicità necessaria all’opera. Un plauso  va agli attori che nelle scene  in cui vengono “presentate” le due coppie, in quella del racconto del pompiere e del delirio finale danno il loro meglio, trasformandosi in mirabili burattini mossi da fili invisibile…o forse dalla cantatrice calva.