Chi fu realmente J. Edgar Hoover? A questa domanda cerca di dare una risposta Clint Eastwood che con il suo ultimo film, intitolato J. Edgar appunto, ripercorre le tappe di uno degli uomini più potenti d’America del XX secolo. A capo dell’FBI per circa cinquant’anni (1924-1972), passando attraverso otto Presidenti e tre guerre, Hoover è un enigmatico pezzo di storia americana in cui il confine tra legalità e illegalità risultò essere molto sottile. Nei panni di Hoover, in questo viaggio lungo quasi mezzo secolo, un bravissimo Leonardo Di Caprio.  Eastwood decide di narrare prima di tutto J. Edgar come uomo e non come eroe nazionale. E lo fa attraverso il racconto: è lo stesso J. Edgar che, durante le “interviste” rilasciate ai suoi biografi, espone la “propria versione dei fatti”. Lo spettatore è guidato in questo racconto per mezzo di flashback che ripercorrono le tappe fondamentali della carriera di Hoover: la lotta ai gangster, il rapimento e l’assassinio del figlio di Lindbergh, l’omicidio Kennedy, l’opposizione al comunismo e a Martin Luther King. Il regista non tralascia neppure l’evoluzione, anche per merito di Hoover, dell’FBI da semplice ufficio chiamato Bureau of Investigation (BOI) a una delle più potenti agenzie investigative del mondo che oggi conta oltre 35mila impiegati.Clint Eastwood indaga anche su altri aspetti meno conosciuti della vita di Hoover: la controversa collaborazione con il suo braccio destro Clyde Tolson (Armie Hammer), un rapporto che il regista bolla come “omosessuale represso”; il rapporto con la madre (Judi Dench) e con la fedele segretaria Helen Gandy (Naomi Watts). Ancora una volta Eastwood racconta lo scontro tra buoni e cattivi ma questa volta smaschera non solo questi ultimi ma anche i buoni. J. Edgar è un film cupo, dalla fotografia livida che, nonostante la netta posizione del regista, lascia lo spettatore nel dubbio. Chissà se questo film riuscirà ad affascinare il pubblico nostrano? Anche in questo caso restiamo dubbiosi.