Questa settimana una “noblesse oblige”: vincitore nel 2006 del National Book Award, Richard Powers è uno degli scrittori americani più affascinanti e più inventivi degli ultimi anni. “La finzione può essere una cosa molto più potente di quanto si pensi” ammette in una intervista lo stesso autore: per averne una prova, basta leggere il suo ottavo e splendido romanzo, “Il tempo di una canzone”, Mondadori Editore, euro 23,00, pp. 835, 2006.
L’amore per la musica è quello che lega la famiglia Strom a dispetto delle circostanze: i loro tre figli dovranno affrontare la brutalità di un’America ancora intrisa di razzismo, e non sarà facile per loro trovare la propria identità rimanendo fedeli a se stessi. Jonah, il primogenito, rivela ben presto una voce prodigiosa e un genio musicale che rischierà più volte di infrangersi di fronte al pregiudizio. Joey, pianista, accetta fin da subito di accompagnare nell’arte e nella vita il proprio fratello, finché una serie di tragici eventi non riuscirà a separarli. Ruth, la terzogenita, è l’unica dei tre che accetterà di assumere su di sé la sfida ideologica rappresentata dalla propria pelle e si accosterà sempre più al movimento di lotta per i diritti civili, fino a prendere parte attiva al temibile gruppo di azione delle Black Panthers. L’umanità e l’intelligenza di David e Delia farà loro percepire spesso il soffio della Storia, più bruciante per chi come loro ha deciso coscientemente di deviarne il cammino: “Guarda avanti, e tutto ciò che ami svanirà”.
Se Woody Allen ama leggere per legittima difesa noi amiamo un posto sulla terra dove tutto è possibile, dove il normale quotidiano vive di vita propria, dove uno scrittore eccezionale è capace di sviluppare una storia dentro al “sentimento di ciò che accade” ed il resto è solo uno spartiacque tra ciò che è, e ciò che sarà.