Dopo quattro anni di separazione, Ahmad torna a Parigi da Teheran, su richiesta di Marie, sua moglie, una donna francese, per portare a termine la procedura di divorzio.Nel corso del suo breve soggiorno, Ahmad scopre la conflittualità del rapporto che Maria ha con la figlia, Lucie.Gli sforzi di Ahmad per tentare di migliorare quel rapporto sveleranno un secreto del passato.

INTERVISTA CON ASGHAR FARHADITra UNA SEPARAZIONE e IL PASSATO, avrebbe dovuto esserci un altro film. Cos’è successo?Effettivamente, durante un soggiorno a Berlino dopo ABOUT ELLY, avevo scritto un’altra sceneggiatura. Poi ho realizzato UNA SEPARAZIONE e il mio distributore francese, Alexandre Mallet-Guy, mi chiese di leggere quella sceneggiatura. Gli piacque e manifestò il desiderio di produrre il film in Germania o in Francia. Dopo una serie di viaggi, scelsi Parigi e mi misi a lavorare su quel progetto. Un giorno, mentre eravamo in un bar a chiacchierare, all’improvviso dissi che avevo in mente un’altra storia. Avevo solo una sinossi, ma raccontandola mi ero reso conto che qualcosa stava iniziando a cristallizzarsi, a prendere corpo e che un altro racconto mi stava venendo incontro. E piano piano ci spostammo verso questa nuova storia che sviluppai e nel giro di poco tempo arrivai al primo trattamento. È così che IL PASSATO è nato. E Parigi aveva interamente il suo ruolo: quando si vuole fare un film che tratta del passato, bisogna iscriverlo in una città come Parigi che respira il passato. Non avrei potuto trasporre la storia ovunque.
Eppure la Parigi storica non è presente nel film…Sono stato molto attento a non abusare della dimensione storica dell’architettura di Parigi e a non fare un film turistico. Nel giro di poco tempo ho deciso che la casa della protagonista, dove si svolge una grande parte della narrazione, si sarebbe trovata in periferia. Parigi è presente, ma in modo discreto, sullo sfondo. Il pericolo che incombe su qualunque cineasta decida di realizzare un film al di fuori del proprio contesto d’origine è di metterci le prime cose che catturano il suo sguardo. Io ho volutamente fatto il percorso contrario: poiché l’architettura di Parigi mi affascina, ho scelto di superarla per accedere a qualcos’altro.
Ma come si svolge la scrittura, come si costruisce la storia?Di fatto le mie storie si scrivono sempre in modo non lineare. Non ho un punto di partenza e un punto di arrivo. Ho sempre diverse storie che prendono forma in modo indipendente e che finiscono col convergere verso una situazione comune. In questo caso, avevo la storia di un uomo che si reca in un’altra città per espletare le formalità del divorzio poiché è separato da sua moglie da qualche anno. E avevo la storia di un uomo la cui moglie è in coma e che deve occuparsi da solo di suo figlio. Questi frammenti di storia si arricchiscono in modo parallelo per arrivare a convergere verso una situazione unica. La mia scrittura è intuitiva, ma non appena ho una sinossi comincio a farmi delle domande sulle poche cose che so della storia. Poiché so che quest’uomo arriva per divorziare, mi chiedo: «Perché se n’è andato 4 anni fa?». E se va nella casa di questa donna: «Cosa avviene in quella casa?». Sono talmente tanti i quesiti che emergono da un piccolo testo che darvi una risposta ti porta a costruire l’intero racconto.
In che modo l’osservazione della vita francese ha nutrito la sceneggiatura?Ho riflettuto molto sull’aspetto delle differenze: cosa cambierebbe se la storia si svolgesse in Iran? Nei miei film, i personaggi si esprimono spesso in modo indiretto. È una formula comune nella mia cultura ed è anche un espediente drammatico a cui sono ricorso spesso. Ho notato che questa modalità è più rara in Francia. Naturalmente è un discorso relativo, ma in generale i francesi si esprimono in modo più diretto. Dovevo dunque adattare lo sviluppodei miei personaggi francesi a questo nuovo parametro. Ed è stato un processo piuttosto delicato e lungo da applicare alla scrittura.
E curiosamente è il personaggio iraniano a far parlare gli altri…In effetti è una specie di catalizzatore, una persona che mette gli altri in una disposizione d’animo incline alla parola, in cui affiorano cose che non sono state dette da molto tempo. Ma penso che sia un atteggiamento che ha inconsapevolmente, che non sia una scelta volontaria da parte sua. Per me è stata una vera linea di condotta, ho voluto fortemente che i miei personaggi non fossero definiti dalla loro bandiera o dalla loro nazionalità. È la situazione a determinare il loro comportamento. E in una situazione di crisi, le differenze si attenuano.
Uno dei suoi attori dice che l’idea di questa storia le è venuta vedendo una persona in coma…Non è andata proprio così. Sono andato a vedere dei pazienti in coma per preparare il film. Pur non avendo mai fatto esperienza diretta di questa condizione, da sempre associo subito l’idea del coma a una via di mezzo, a un dubbio: siamo nella vita o nella morte? Una persona in coma può essere considerata morta o è ancora viva? Tutto questo film è costruito su questo concetto di dubbio, sulla nozione di via di mezzo. I personaggi si trovano costantemente di fronte a un dilemma, sono a un bivio tra due percorsi. In UNA SEPARAZIONE, la situazione in cui si trova il protagonista è piuttosto comune ma complessa: deve scegliere tra il benessere di suo padre e quello di sua figlia. In IL PASSATO, la questione è un po’ diversa: bisogna privilegiare una certa lealtà verso il passato o rinunciarvi per proiettarsi verso il futuro?
Questi dilemmi sono ancora più profondi a causa della complessità della vita di oggi?È molto probabile. Mi sembra che abbiamo la tendenza a considerare indefinito il futuro perché ci è sconosciuto. E tuttavia il passato mi pare ancora più opaco. Oggi conserviamo delle tracce del nostro passato, dovrebbe esserci più vicino di quanto non lo fosse una volta. Eppure, malgrado le fotografie o le e-mail, il nostro passato è diventato ancora più oscuro. E oggi la vita forse tende a volersi proiettare in avanti ignorando il passato. Ma l’ombra del nostro vissuto continua a pesare su di noi e a riportarci indietro. Mi sembra che questo sia vero in Europa come nel resto del mondo. Malgrado tutti i nostri tentativi di catapultarci verso l’avvenire, il peso degli eventi passati continua a farsi sentire sulle nostre spalle.