Quella dell’head hunter, negli ultimi anni, è diventata una figura sempre più centrale nel mondo del lavoro. È lui – o lei – il consulente di riferimento per le aziende quando si tratta di trovare il talento giusto, il professionista capace non solo di soddisfare tutti i requisiti di ricerca, ma anche di creare reale valore per l’azienda, proponendo egli stesso un nuovo percorso di crescita.

Va peraltro sottolineato che il cacciatore di teste non è più quello che si conosceva negli anni Novanta: oggi è anche e soprattutto un esperto specializzato in specifici settori lavorativi.

Come spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera, «ha ben poco senso affidare la ricerca dei talenti a un recruiter che non ha un’esperienza consolidata in quel preciso settore, e che quindi non può capirne le peculiarità, le necessità, le problematiche e i linguaggi».

E questo discorso è valido soprattutto nel momento in cui si parte alla ricerca di figure di alto profilo, e quindi di manager.

Ma quali sono, al giorno d’oggi, le caratteristiche fondamentali che devono essere individuate in un manager?

Lo abbiamo chiesto per l’appunto ad Adami, per sentire le parole di chi si occupa quotidianamente della selezione di figure manageriali.

«Nella ricerca di un buon manager per la propria azienda » spiega l’head hunter «non bisogna fermarsi all’analisi delle mere conoscenze tecniche, delle sole hard skills. E non bisogna nemmeno pensare che una buona capacità di leadership sia sufficiente per fare di un candidato il manager ideale. Il manager a cui puntare è quello che riesce a coniugare i propri obiettivi professionali con quelli dell’azienda, e che ha quindi sviluppato nel tempo un forte sense of ownership.

Potrebbe sembrare perfino scontato, ma non lo è affatto: non è facile individuare dei professionisti che riescano ad allineare davvero queste due esigenze. Spesso ci si scontra con manager che non dedicano il tempo né le energie necessarie per far crescere il proprio team, temendo magari che qualche sottoposto possa finire per prendere la sua posizione.

Ma il ragionamento che si deve fare è esattamente l’opposto: è cruciale far crescere i propri collaboratori, per far evolvere l’azienda nonché per fare in modo che uno dei propri sottoposti sia pronto in breve tempo a sostituire il manager, permettendo a quest’ultimo di mirare a posizioni con responsabilità maggiori».

Sembra quindi di capire che il manager migliore per l’azienda è quello che ha voglia di crescere, e di fare carriera, senza nasconderlo.

«Esattamente» conferma Adami «il candidato ideale è quello che ha compreso che è possibile valorizzare allo stesso tempo gli altri, l’azienda e sé stessi».

Sotto quali aspetti il manager di oggi dovrebbe essere differente da quello di ieri?

«Negli ultimi anni il mondo del lavoro si è evoluto grandemente, e così ha fatto anche la figura del manager. È quindi necessario che questa figura professionale sia in grado di comprendere e di sfruttare al meglio le nuove tecnologie a disposizione: in una situazione contraria, l’azienda non ha alcuna possibilità di trarre dalla trasformazione digitale concreti vantaggi in fatto di velocità, efficacia e risparmio».

Il manager di oggi, però, non è solamente “digital”. Deve essere in grado di creare quotidianamente valore per l’azienda.

«Per fare questo deve vantare un’elevata capacità di analisi, a partire da un’attenzione peculiare per le proprie attività regolari: con i cambiamenti che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, sono ben poche le operazioni che devono essere svolte come negli anni passati».

E ancora, spiega Adami, «le figure manageriali devono assicurare molta attenzione ai temi diversità e dell’equità nella gestione del proprio team, in termini di genere e non solo».