Nell’immaginario collettivo è spesso collegato ai fasti e alle trasgressioni del XVII e XVIII secolo, complici anche i celebri dipinti di Francesco Guardi e Pietro Longhi, oltre alle opere teatrali di Carlo Goldoni e agli scritti di Giacomo Casanova. Ma in realtà, il Sei-Settecento non è che un momento della lunga e complessa storia del Carnevale di Venezia, ad oggi forse la più conosciuta e spettacolare festività della città lagunare, che quest’anno compie 1600 anni. Apparso alla fine dell’XI secolo, il Carnevale veneziano diventa ben presto uno degli episodi chiave di un importante rituale volto a celebrare il successo politico ed economico della Serenissima; la sua dimensione celebrativa e festiva viene via via raffinata nel tempo fino a diventare, nel XVIII secolo, il simbolo per eccellenza dei carnevali urbani in tutta Europa. Attraverso i secoli, nessuno è rimasto immune al fascino mutevole e al mistero del millenario Carnevale veneziano, tantomeno il professor Gilles Bertrand, ordinario di storia moderna all’Università Grenoble Alpes, nonché uno dei massimi esperti di storia del Carnevale di Venezia.
Sebbene l’etimologia, il latino “carnem levare” ossia “privarsi della carne”, sia di derivazione cristiana, le radici della tradizione carnevalesca rimandano ad un tempo ancora più remoto, in cui si celebrava il passaggio dall’inverno alla primavera. Già i culti dionisiaci in Antica Grecia e i Saturnalia in epoca romana indicavano un periodo dell’anno in cui era permesso sovvertire il rigido ordine sociale. Ma la prima testimonianza del Carnevale a Venezia è un documento del doge Vitale Falier, datato 1094, in cui si parla di divertimenti pubblici, mentre nel 1296 il giorno precedente la Quaresima diventa ufficialmente, grazie a un editto del Senato della Repubblica Serenissima, una festa pubblica. Tuttavia, i documenti non sono numerosissimi durante il Medioevo, e sembra che il Carnevale di Venezia assomigliasse molto a quello di altre città dell’Europa mediterranea, almeno fino al XIII secolo. In quest’epoca, la festività durava sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, anche se i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già i primi giorni di ottobre.
È solo a partire dal XIV secolo che si comincia ad elaborare un Carnevale propriamente veneziano, che va ad inserirsi in un contesto di chiara matrice politica ed economica. “Oltre alla dimensione religiosa”, spiega il professor Bertrand, “il Carnevale rivestiva almeno altre due funzioni. Una di queste era politica: sin dal Medioevo, il Carnevale serviva a rinforzare l’aggregazione, la coesione della popolazione dei quartieri, utilizzando la memoria di eventi storici o leggendari che miravano a ricordare i successi e l’estensione progressiva del dominio della Repubblica. Ma ci fu anche, a un certo punto, una dimensione di sopravvivenza economica, legata alla capacità di farsi vedere come città lussuosa e attraente verso la quale confluivano persone venute da tutto il resto dell’Europa. Questa terza funzione, si potrebbe dire, si estese sin dall’inizio dell’epoca moderna, e cioè dalla metà del XVI secolo, all’epoca di Tiziano e di Veronese, fino alla fine della Repubblica nel 1797. Questo significato cominciò ad acquistare una preminenza quando il prestigio economico e diplomatico di Venezia, al suo apice, nei secoli XIV e XV, si indebolì. Venezia cercò allora di mantenersi come capitale prestigiosa, ricca e sfarzosa agli occhi dei sovrani, degli aristocratici, dei mercanti e degli artisti di tutta Europa”.
Il Carnevale di Venezia è un momento di svago per tutte le classi sociali, sia per il popolo che per la nobiltà, anche se restano in vigore certe distinzioni. “Ognuno si divertiva”, racconta il professor Bertrand, “e per certi spettacoli carnevaleschi, come le regate, le cacce al toro o la festa del Giovedì Grasso, il popolo e i nobili potevano confluire. Ognuno poteva incrociarsi in campo Santo Stefano o in Piazza San Marco. Ma nell’insieme vigeva una reale spaccatura, anche in quelle occasioni. Con la pratica del liston i nobili si mettevano in mostra davanti a tutti, facendo capire la loro differenza con il popolo. Pure il travestimento in bautta non rendeva uguali le condizioni, in quanto la qualità di un merletto o il modo di disporre il tricorno sulla testa erano altrettanti segni di riconoscenza. Al popolo in epoca moderna, e forse ancora di più nell’Ottocento, piaceva godersi il Carnevale come un tempo di piaceri per la gola, mentre la fobia della folla spingeva nobili a recarsi nelle loro ville fuori Venezia, in modo da sfuggire al chiasso”.
Le celebrazioni carnevalesche a Venezia conoscono profonde metamorfosi nel corso dei secoli, e si compongono di innumerevoli eventi, alcuni più raffinati, altri più popolari. “Certi giochi, rituali e festeggiamenti che erano molto in auge presso il popolo durante il Medioevo scomparvero progressivamente, perché considerati troppo violenti. Per primo a metà del Cinquecento si affermò un Carnevale più raffinato nei suoi costumi e nel modo di travestirsi, più controllato dal governo, con tanto di feste private da un lato, separate da quelle popolari, e di festeggiamenti collettivi dall’altro, destinati ad abbagliare veneziani e forestieri, giocando sui pregi e la magnificenza dello scenario, in particolare quello di Piazza San Marco e del Canal Grande. In secondo luogo, la dimensione militare e di protezione contro gli elementi naturali ostili aveva generato esercizi acrobatici o lotte tra gruppi di giovani o con animali: il governo cercò di mantenerli per fare piacere al popolo, ma poco a poco furono interrotti”. Tra gli eventi che scompaiono, si ricordano anche la lotta dei pugni tra Castellani e Nicolotti, abolita nel 1705, le cacce al toro (1802) e, nel 1816, lo spettacolo popolare delle Forze di Ercole con piramidi umane in Piazzetta San Marco.
Purtroppo, con la caduta della Serenissima e l’occupazione francese e austriaca del 1797, la lunghissima tradizione del Carnevale di Venezia viene interrotta per timore di ribellioni e disordini popolari. “Sparisce la necessità per Venezia di farsi vedere bella agli occhi di tutta l’Europa”, afferma il professor Bertrand, “e di utilizzare il Carnevale come una vetrina destinata a far sapere che rimaneva indipendente, ricca e sfarzosa come ai tempi in cui dominava il Mediterraneo, nel XIV e XV secolo. Inoltre, i francesi arrivano con un sospetto, tipico dei tempi rivoluzionari, contro la maschera e il travestimento; segue poi la volontà degli austriaci di riorganizzare quest’antica capitale come un semplice capoluogo di provincia. Pochi teatri, pochi piaceri: il Carnevale prima scompare, poi dopo l’epoca napoleonica, e quindi sotto il secondo dominio austriaco, le sue manifestazioni vengono limitate all’apertura dei teatri, a qualche ballo, a delle regate e a delle mascherate per le strade, fino alla scomparsa completa delle sue espressioni pubbliche con l’Unità d’Italia. Per decenni il Carnevale si limita per lo più a feste nostalgiche in palazzi privati e con il concorso di artisti”. Solamente nelle isole della laguna di Venezia, come Murano e Burano, i festeggiamenti proseguono, conservando vigore e allegria.
La ripresa di questa millenaria tradizione arriva a quasi due secoli di distanza, nel 1979, su iniziativa del Comune di Venezia e di alcune associazioni cittadine. Maschere, costumi, sfilate, balli: il Carnevale di Venezia, ora festeggiato ogni anno nei dieci giorni che precedono la Quaresima, si ispira in gran parte alle atmosfere barocche del XVII secolo, oltre che ai fasti del XVIII secolo. Spesso contraddistinte e dedicate ad un tema di fondo, le nuove edizioni del Carnevale si sono inoltre arricchite di numerosi appuntamenti ispirati alla storia e alle tradizioni della città lagunare, come la Festa delle Marie e il Volo dell’Angelo.