Due uomini: Ben e Gus. Una stanza: scenograficamente allestita ad arte con biciclette appese alle pareti e statue di cartongesso che parlano al telefono. Un calapranzi al centro della scena: muto e nero. Due uomini che si conoscono da tempo, parlano fra loro in modo estremamente confidenziale facendo emergere sin da subito chi è il capo fra i due. Ben è il boss. Uno di quei capi dallo spiccato accento siciliano, dallo sfottò facile e la mano pesante. Legge il giornale impassibile mentre il compagno Gus lo incalza con domande di ogni tipo. E’ l’attesa che li costringe a stare insieme in quel sottoscala, sporco, senza cibo nè gas. Cosa attendono, tra battute a dir poco geniali, frutto dello scontro tra la veracità meridionale di Ben interpretato da un bravissimo Maris Leonetti e la pedanteria del curiosissimo Gus messo in scena dall’altrettanto intenso Pierpaolo De Mejo, gli uomini lo rivelano a tratti ed in modo confuso: un ordine dall’alto. L’”alto” è la mafia, i due uomini sono dei killer pronti a fare un “servizio” ma appaiono in realtà due esseri umani in un purgatorio fatto di scarafaggi e claustrofobia. La tensione dettata dall’attesa è costante, gli scambi di battute e la violenza di Ben verso il povero Gus rende il tutto grottesco e paradossale. E’ un grande fratello noir e comico allo stesso tempo, il cui capo è un calapranzi che detta regole tramite le pietanze e getta i protagonisti in una perenne inquietudine. Ciò che potrebbe svoltare il tutto è la mente puerile di Gus che nonostante l’alienazione dello scantinato non smette di porsi dei dubbi e lamentarsi, dando vita ad un personaggio pieno e a tratti ribelle. Le musiche, simili a quelle dei gangster movie, e il rumore assordante e meccanico del calapranzi contribuiscono a creare una atmosfera surreale e magica. Il grigio mondo parallelo che è proiettato in quella stanza, rende potenti come frecce le parole dei personaggi che crescono lentamente di spessore come creature in un acquario. Un universo essenziale e dissociato dal reale, violento, ilare e malinconico. Un turbine di parole e nevrosi umane di individui costretti all’immobilità che trattati da burattini si comportano comunque come esseri umani. Forse.