Si conclude l’avventura del Che firmato Steven Soderbergh. A venti giorni dall’uscita del primo capitolo, Che – L’Argentino, apprezzato per lo stile documentario sobrio e mai retorico, arriva nelle sale Guerriglia, resoconto della seconda metà di vita di Ernesto Guevara de la Serna (Benicio del Toro, qui alla sua prova più difficile e più azzeccata, data l’incredibile somiglianza fisica e l’identificazione molto convincente con il Che).  Questo secondo Che, concepito come il “secondo tempo” di un’unica pellicola-fiume di 260′, prende le mosse dall’avvenuto golpe castrista a Cuba e narra il sogno inseguito da Guevara nella sua impresa solista: esportare la rivoluzione in tutta l’America Latina.  Guerriglia si allinea al primo film nell’imparzialità e nella crudezza del racconto, spogliato di ogni mitizzazione e ridotto a cronistoria di un’esistenza, con il suo gioco di luci e ombre. Persa anche la dialettica con Castro (interpretato nella prima parte da Demiàn Bichir), il Che, in questa lunga sequela di accampamenti, agguati e paturnie da miliziani, spicca per la sua strenua solitudine. E’ un (anti)eroe autovotato al martirio, che non vede la disperazione ma solo l’ideale ispiratore della sua impresa. Un  guerriero tanto spietato quanto imprevidente, che sottovaluta il peso del nemico (il governo boliviano connivente con i rapaci States) e insiste in una lotta impari. Fino all’epilogo, tragico. Soderbergh, pur replicando i toni austeri dell’Argentino, pecca stavolta di eccessivo minimalismo: il lungo e un po’ monotono focus sui silenzi, le scontrosità, gli scoppi d’ira, la malattia del Che finisce per tradursi in un’apologia della sua fine: un ritratto grandemente patetico del suo declino. Ma l’intento del regista resta chiaro e apprezzabile: calarsi nella vita e nella psicologia di un’icona storica ignorandone l’aura mitica, filmando solo la sua parabola di uomo.