Una storia di colpa e mistero
Siamo stati subito colpiti dal modo in cui “Il caso Belle Steiner” mette in scena la banalità della provincia e, allo stesso tempo, la trasforma in un labirinto di sospetti e accuse. Il film, tratto dal romanzo La morte di Belle di Georges Simenon (Adelphi), segue Pierre e Cléa, una coppia tranquilla che conduce un’esistenza apparentemente serena in una piccola città.

L’arrivo di Belle, figlia di un’amica, sconvolge l’equilibrio della loro quotidianità quando la ragazza viene trovata morta in casa e Pierre, insegnante e unico presente al momento della tragedia, finisce immediatamente sotto la lente d’ingrandimento della comunità e della polizia. È l’inizio di un incubo che si muove tra interrogatori umilianti e l’ostilità di vicini e colleghi, tutti pronti a puntare il dito contro di lui. Perché la domanda sul tavolo è una sola: chi ha ucciso Belle?

Dal romanzo al grande schermo
Benoît Jacquot, affascinato dalla scrittura di Simenon, ha scelto di attualizzare la vicenda, spostandola dagli Stati Uniti degli anni ’60 alla Francia contemporanea. Questo conferma la straordinaria modernità dell’opera di Simenon: i temi della colpa, dell’ambiguità morale e della pressione sociale su chiunque non si uniformi al pensiero dominante risultano ancora incredibilmente rilevanti oggi. Jacquot vuole che lo spettatore si senta trascinato in quel clima di sospetto soffocante e che, proprio come Pierre, si ritrovi a sperimentare la paura di esser giudicato colpevole senza appello.

La potenza di un cast eccezionale
Guillaume Canet interpreta Pierre con un misto di fragilità e ambiguità che ci ha conquistati fin dal primo fotogramma. Ci fa provare empatia per un uomo perseguitato, senza però mai spazzare via del tutto l’ombra del dubbio sulla sua possibile colpevolezza. Al suo fianco, la pluripremiata Charlotte Gainsbourg indossa i panni di Cléa, moglie devota ma pure lei in balìa della frantumazione di ogni certezza. È un duetto interpretativo in cui l’equilibrio fra la vittima e il potenziale carnefice è così sottile da tenerci costantemente sull’orlo del precipizio emotivo.

Tinte autunnali, tinte noir
L’aspetto visivo si annuncia particolarmente curato grazie alla collaborazione con Caroline Champetier come direttrice della fotografia. L’idea di un’atmosfera autunnale, con paesaggi spogli e luci soffuse, è la cornice perfetta per un racconto che oscilla fra l’ordinario e l’eccezionale, fra la colpa e l’innocenza. Il film sembra richiamare gli intramontabili capolavori del noir, da Il ladro di Hitchcock a Oltre ogni ragionevole dubbio di Fritz Lang, dove il protagonista appare inafferrabile, costretto a muoversi in un mondo che non gli concede appigli di sicurezza. La tensione è palpabile, e la domanda s’insinua insistente: “È davvero Pierre l’assassino, oppure è vittima di un destino beffardo?”

La nostra impressione finale
“Il caso Belle Steiner” promette di essere uno di quei film capaci di scuotere le certezze del pubblico, trascinandoci in un vortice di dubbi, colpi di scena e domande a cui non è facile rispondere. Da parte nostra, siamo affascinati dalla capacità del regista di rendere credibile un’angoscia che si insinua giorno dopo giorno nel tessuto sociale di una città dove tutti sanno tutto. È un thriller psicologico che ci mette di fronte all’eterna lotta tra verità e apparenza, innocenza e colpa, senza fornirci risposte scontate. E forse è proprio lì, in quella tensione continua, che si cela il segreto del grande cinema. Una visione che, ne siamo certi, lascerà un segno.