Iniziamo dalle basi, ovvero dal foraging, quell’attività da svolgere all’aria aperta dotati di guanti, cestino in vimini e forbici. In poche parole, l’andar per campi alla ricerca di erbe spontanee commestibili e qualsiasi altro cibo che cresce spontaneo negli ambienti naturali incontaminati: boschi, foreste, prati e campi ma anche lungo i fiumi, i laghi e le lagune.
Basta farsi un giro online per rendersi conto di come l’attività del foraging stia diventando sempre più trendy e poco male, se questo significa avvicinarsi genuinamente alla natura e ai suoi frutti più spontanei. Ma è necessario prestare estrema attenzione per non incorrere a conseguenze molto gravi per la salute delle persone e degli ecosistemi. Vietato quindi raccogliere erbe o altri cibi selvatici della cui commestibilità non si è assolutamente certi, così come fare foraging in aree private e protette oppure inquinate, ma anche depredare tutto ciò che è disponibile: è buona norma fermarsi al 5%. “Vale anche per piantaggine, tarassaco e ortica che sono molto diffusi. Dobbiamo ricordarci che non siamo da soli”. Ma queste sono solamente alcune delle basi fondamentali del foraging da approfondire con letture dedicate e, ancora meglio, frequentando dei corsi pratici. Il foraging è bello solamente quando è assolutamente sicuro!
Alimenti selvatici per principianti: quali sono e come trattarli
foragingFermo restando che darsi al foraging senza formazione è sconsigliato, abbiamo chiesto all’esperta Eleonora Matarrese quali sono gli alimenti selvatici più facili da riconoscere, da raccogliere e da utilizzare in cucina senza la necessità di sottoporli a particolari trattamenti. Magari anche nei campi vicino casa in tenuta mediamente sportiva e non da trekking spinto. Ebbene le “specie for beginners”, per semplificare, sono poco più di una decina e molto probabilmente ne avrete almeno sentito parlare con il loro nome comune: cicoria, tarassaco, piantaggine, calendula, farinello, ortica, tiglio, rosa, fiore di sambuco (attenzione perché il Sambucus nigra ha fiori e frutti commestibili mentre il Sambucus ebulus è tossico), l’aglio nelle sue varietà, borragine e pimpinella.
Quando si tratta di raccolta basarsi sull’aspetto estetico non è segno di superficialità, anzi: la prima indagine inizia proprio con gli occhi: “Le foglie devono essere integre” e questo è quasi sempre indice di salubrità. Inoltre: “Gli alimenti raccolti vanno trasformati e consumati il prima possibile. Quando è possibile meglio a crudo per favorire un maggior apporto di nutrienti. Ad esempio il farinello è ricco di ferro e di sostanze probiotiche e prebiotiche, dunque mangiandolo crudo prendiamo una sorta di integratore naturale”. Ma anche in questo caso bisogna ricordarsi che quello del foraging e della cucina selvatica è un mondo da approcciare un passo alla volta: “L’intestino potrebbe soffrire perché non è abituato ad una percentuale così alta di nutrienti come quella presente in molte specie selvatiche. Per evitare indigestioni è meglio iniziare con piccole quantità ed essere estremamente cauti ad inserire alimenti selvatici nella dieta dei bambini sotto i tre anni, delle donne in stato di gravidanza o in allattamento o di chi è in cura con particolari farmaci”. Infatti: “Bisogna sempre essere sicuri di quello che si ingerisce. Anche perché ad oggi si conosce solamente forse il 4% di tutte le specie vegetali al mondo e anche di quelle conosciute non si sa tutto, ci sono molte variabili di cui tenere conto che potrebbero causare reazioni diverse”.
Ispirazioni dal passato: la cucina spontanea delle nonne
Trendy quanto vuoi, ma il foraging esiste da sempre. Facendo uno sforzo di memoria probabilmente ricorderete le nonne a caccia di ortiche o di fiori di sambuco, beni preziosi di sfruttare al massimo nella cara, vecchia, cucina povera. Eleonora Matarrese ci elenca una serie di ricette della memoria da riscoprire per mettere a frutto l’attività di foraging: fave e cicorie selvatiche, lampascioni (lessi, fritti o al forno), l’erbazzone, i pansotti con la borragine, le frittelle di sambuco, le minestre della Garfagnana …. praticamente un giro d’Italia!
Un’insalata selvatica
Il segreto svelato dalla cuoca selvatica è che : “C’è l’imbarazzo della scelta ma il gusto sta nell’equilibrio”. Le specie selvatiche da aggiungere all’insalata di stagione possono essere: “Pimpinella che è molto fresca e sa di cetriolo, germogli di tiglio; fiori come pratoline, violette, calendula, e fiori d’aglio, di sambuco e di Robinia; poi menta e borragine”.
Cosa c’entra la fermentazione con il foraging
Non è un caso che Eleonora Matarrese sia anche un’esperta di fermentazione, dal momento che è questa la primissima forma di conservazione conosciuta all’uomo e dunque applicata anche alle specie selvatiche commestibili: “Lo dimostrano anche i ritrovamenti archeologici: pensiamo ai capasoni pugliesi, queste giare giganti in terracotta dove ancora oggi vengono messe le olive in salamoia e tante altre specie a fermentare. Anche i crauti nascono con la stessa idea: i popoli nomadi, per avere il cibo sempre con loro, fermentavano.” Ricordiamo anche che grazie alla fermentazione: “I nutrienti delle specie selvatiche vengono centuplicati e sono ancora più biodisponibili rispetto alla pianta selvatica cruda”.