Per l’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) è uno strumento abusato, tanto da spingerla a bocciare la maggior parte dei messaggi contenenti funzioni benefiche, mentre per gli italiani, nonostante abbiano speso quasi 3 miliardi di euro tra cibi e bevande solamente per il cenone della vigilia e il pranzo di Natale (fonte Coldiretti), si rivelano essere un vero e proprio rebus. Sono le etichette dei prodotti alimentari che ogni giorno riempiono il carrello della spesa. È appena un consumatore su dieci, infatti, a prestare sempre la massima attenzione all’etichetta (9%) mentre ben il 34% ammette di non guardarla quasi mai. Le motivazioni? Diciture minuscole (53%), nomi incomprensibili (67%), nessuno strumento a disposizione per poterla leggere nel modo adeguato (48%): eppure solamente due italiani su dieci non la ritengono fondamentale prima di acquistare un prodotto (19%). E se il 51% dei consumatori dichiara di non comprendere assolutamente nulla, la lettura dell’etichetta, quelle rare volte che viene effettuata, è generalmente superficiale (29%) e ruba al massimo pochi istanti (27%). E gli additivi alimentari che compaiono sulle etichette? Secondo gli italiani servono a rendere più belli gli alimenti (63%) piuttosto che per conservare a lungo i prodotti (45%). E così, ad esempio, la “destrina” da addensante si trasforma in un modo per definire un partito politico, la “lecitina di soia” da emulsionante diviene un tessuto ricavato dal particolare legume e lo “xilitolo” una marca di chewingum. Più che un rebus, per gli italiani l’etichetta sembra dunque scritta in un’altra lingua. Questo è quanto emerge da uno studio promosso dalla rivista Vie del Gusto, diretta da Domenico Marasco e in edicola nei prossimi giorni, e condotto su 1300 uomini e donne italiani, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, a cui è stato chiesto un parere sulle etichette alimentari e una verifica sulla conoscenza di alcuni additivi presenti nei cibi.