Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Bruno Santino. Mariti, padri, figli. Vite diverse ma destini simili. Tutti operai dell’ acciaieria ThyssenKrupp di Torino dove, nella notte tra mercoledì e giovedì, un incendio dalle vaste proporzioni ha trasformato in torce umane sette dipendenti. Tutti padri di famiglia  costretti dal bisogno, o forse dalla fabbrica, a lavorare anche sedici ore al giorno. Tutti dipendenti di un’azienda dove, con molta probabilità, vi era poca attenzione alla sicurezza dopo la decisione di chiudere lo stabilimento.Il numero delle vittime potrebbe aumentare dato che altri tre operai  stanno lottando contro la morte a causa delle ustioni riportate sul 90% del corpo.Quattro morti, dunque, in un giorno, senza contare le tragedie consumatesi in Irpinia dove un operaio è deceduto cadendo da un’impalcatura o a Cassino dove un meccanico ha perso la vita schiacciato da una bisarca. Torna, quindi, l’emergenza morti bianche. E, mentre i sindacati confederali Cgl, Cisl e Uil annunciano tre giorni di lutto per i ricordare le troppe vittime sul lavoro, gli ultimi dati Inail affermano che “nei primi otto mesi del 2007 le morti bianche sono diminuite rispetto allo stesso periodo del 2006”. Queste le cifre che dimostrerebbero un’inversione di tendenza: 761 morti in questo anno contro 867 dello scorso (un calo di 106 vittime). Ma di certo non possiamo sentirci sollevati. Anzi. La realtà è agghiacciante: mancanza di sicurezza dovuta alla fretta, ai subappalti, al lavoro a ribasso. Per non parlare, poi, della precarietà, degli ambienti nocivi, delle paghe da fame. E ancora,  ponteggi fatiscenti, macchinari malfunzionanti. La lista potrebbe continuare. Un elenco di irregolarità che  spezzano vite umane.  Stando sempre ai dati Inail, sono 3,56 le persone che perdono la vita ogni giorno in Italia sul luogo di lavoro. Cifre da guerra. Una guerra combattuta da gente costretta a lavorare per pochi soldi, senza tutele, senza difese.  Possiamo definire le vittime, innocenti. Non possiamo parlare, però, di  incidenti. Le morti sul lavoro, infatti, non sono date dalla fatalità, dal destino ma dipendono dall’incoscienza e dall’avidità di chi si rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza. Dipendono dal disprezzo per la vita. La vita degli altri, naturalmente. Di chi è costretto a camminare ore ed ore su un’impalcatura a trenta metri di altezza senza protezioni. Dipendono dall’incapacità di chi dovrebbe approvare leggi più severe e farle rispettare.L’articolo 1 della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. E intanto nel Belpaese si continua a morire, per lavorare.