Può brevemente riassumere la storia per coloro che non la conoscono?  Il film è tratto dal romanzo L’ASSASSINO CHE E’ IN ME di Jim Thompson. È un grande libro, piuttosto breve, che si legge in fretta. Dopo le prime dieci pagine, sei già completamente assorto nella storia. Ha la classica atmosfera noir: il vicesceriffo di una piccola città del Texas conosce una donna di cui si invaghisce e la relazione sessuale con lei gli fa riaffiorare vari ricordi della sua infanzia che aveva rimosso. Da quel momento in poi, inizia sostanzialmente un percorso di vendetta e di violenza. Del romanzo Stanley Kubrick disse: “È forse la più agghiacciante e verosimile storia di una perversa mente criminale, raccontata in prima persona, che mi sia mai capitato di leggere”. Il film esamina a fondo la psiche di un assassino dai modi calmi e controllati, malgrado la brutalità che cova dentro di sé. Come ha fatto a immergersi nella mente di questo killer?La storia può essere psicanalizzata a vari livelli. Verso la metà del romanzo ci sono alcune pagine che spiegano la psicologia del personaggio. Lou è una vittima perché ha subito gli abusi di suo padre e Jim Thompson offre una spiegazione quasi scontata di come il padre lo abbia castrato e di come la violenza e gli abusi perpetrati dal padre si siano in un certo senso tramandati in lui. Secondo me, è giusto fornire queste motivazioni cliniche o psicologiche, ma onestamente non è per questo che mi ha interessato il romanzo, che di fatto è quasi una sorta di tragedia shakespeariana, con le sue passioni straordinarie e la sua trama molto melodrammatica. A metà del libro, c’è una storia nella storia, quando Lou Ford anticipa lo svolgimento del romanzo. Racconta la storia di un uomo felicemente sposato con figli che, a un certo punto, conosce una donna con cui inizia una relazione e di cui si innamora. Un giorno scappano insieme e la polizia scopre che lui ha ucciso tutta la sua famiglia e anche la sua amante. Lou Ford dice cose del tipo: “Come si può capire una storia del genere? La gente fa queste cose, distrugge la propria vita. Come si fa a dare una spiegazione?”. Quindi, per me, l’aspetto interessante del romanzo è più che altro l’idea che Thompson scelga di ritrarre un universo in cui le persone distruggono ogni cosa, senza voler fornire spiegazioni psicologiche. Perché questo è quello che succede, è quello che fa la gente: rovina tutto, distrugge la propria vita. Per qualche strano motivo, gli esseri umani sono distruttivi. Thompson coglie qualcosa di vero della natura umana: non è necessario cercare di spiegarlo, occorre solo mostrare che è così. Lou è un antieroe, ma arriviamo a provare simpatia per lui. Come lo spiega?Spesso le persone che compiono azioni violente sono interessanti. Lou è sia una vittima che un carnefice, è il prodotto della sua infanzia e di suo padre. Per questo è diventato l’uomo che è diventato. Le semplificazioni sono una scorciatoia crudele. Una spiegazione semplice non basta mai, è solo una formalizzazione. Il fascino del personaggio deriva dal fatto che noi vediamo Lou compiere delle azioni perverse e distruggere le persone che sembrano amarlo e che lui sembra amare e con cui potrebbe essere felice. Ma è proprio questa prospettiva di amore che sembra far scattare in lui il desiderio di ucciderle, di annientarle. Credo che molti di noi possano riconoscere qualcosa di se stessi in questo. Ognuno di noi compie gesti autodistruttivi a vari livelli. Lou è un’incarnazione molto estrema di quello che vediamo attorno a noi nella vita reale. Il libro è stato scritto nel 1952. Nel 1976, il regista Burt Kennedy ne ha tratto un film.In cosa differisce il suo film dalla versione precedente?Non ho visto quella versione. Quando ho letto il libro la prima volta, non sapevo che ne fosse già stato tratto un film. È stato Chris Hanley a dirmelo e credo che nemmeno lui l’abbia visto. Io volevo adattare il romanzo per il cinema e non fare un remake di un film. Volevo ispirarmi in modo il più possibile diretto al libro, quindi non ho guardato quel film. Il cinema ha sempre manifestato un notevole interesse per le storie di assassini epsicopatici. Come se lo spiega?Sono storie drammatiche. Assassini e serial killer sono materia di storie drammatiche e non solo al cinema. Sono storie che mostrano una versione estremizzata del mondo e questa in particolare è dinamica, eccessiva, piena di sesso e di violenza, contiene tutti gli ingredienti di base che attirano le persone a teatro, nella letteratura e al cinema… Persino i giornali sono pieni di racconti del genere. Le persone sono affascinate dalle vite che rappresentano una versione estrema delle loro. Tuttavia, in questo caso, si tratta di una storia complessa a livello emotivo. Quello che proviamo nei confronti di Lou e dei suoi rapporti con Joyce e Amy è una sorta di sentimento contrastante, un senso di perditaperché una  possibilità di amore è stata sprecata. È un racconto molto lirico: parla non solo di violenza, ma anche di una bellezza potenziale che viene distrutta.