“Ho vissuto sull’onda dell’inerzia del tempo che passa, ma mi ci sono voluti 20 anni per “tornare finalmente a casa” realizzando Lebanon”. Questa la sincera dichiarazione di Samuel Maoz (nato a Tel Aviv nel 1962), autore e regista di Lebanon, pellicola che ha trionfato al Festival del Cinema di Venezia 2009 aggiudicandosi l’ambito Leone d’Oro.Un film personale, un film sulla sopravvivenza, un film sulla guerra vista dagli occhi di chi in guerra ci è stato per davvero. Non a caso la storia di Shumel, Assi, Herzl e Yigal, quattro ragazzi alla guida di un carro armato, costretti ad uccidere per sopravvivere, ha molti punti in comune con la vita di Sanuel Maoz che nel 1982, a 20 anni, partecipò come artigliere alla Prima Guerra del Libano. Ed è proprio questa fatidica guerra, l’ambientazione che il regista ha scelto per il suo film. Per circa novanta minuti (questa la durata di Lebanon) lo spettatore avrà la sensazione di essere rimasto bloccato nel carro armato (strumento di morte e distruzione umanizzato che, metaforicamente, sanguina costantemente) insieme ai quattro protagonisti che, mossi da un istinto primordiale, lotteranno per sopravvivere nel tentativo di non perdere la propria umanità. La guerra (non compresa) e i suoi orrori sono visti solo attraverso il mirino del carro armato, un punto di vista personale e soggettivo come lo è del resto tutto il film. Un punto di vista che esprime lo stato emotivo dell’artigliere (tremante, teso, esitante).“Questa breve esperienza di scrittura è stata come un elettroshock, una scossa che mi ha risvegliato da una lunga ibernazione e ha resettato tutti i miei interruttori.” Queste le parole di Samuel Maoz che, dopo venticinque anni di trauma passivo e di violenti attacchi di rabbia, è riuscito finalmente a distaccarsi emotivamente dal quel (non più)giovane tornato dal Libano e divenuto un guscio vuoto.