Sognava di seguire le orme di Billie Holiday e Nina Simone, ma tutte le volte che apriva bocca ed esibiva quella sua voce strozzata, a volte sorda, la ragazzina nativa dell’Ohio veniva presa in giro. E come poteva passare inosservata quella sua particolarissima voce graffiante, rasposa, tagliente a volte? Macy Gray è una delle più interessanti protagoniste del soul statunitense, e deve tutto proprio alle peculiarità di quella sua voce che ha sempre viaggiato, prima della consacrazione, fra biasimi e consensi, risatine e applausi. Così oggi non appare strano che abbia dichiarato anni addietro che mai e poi mai avrebbe pensato di fare la cantante, dicendo: “Quand’ero piccola ogni volta che parlavo c’era sempre qualcuno che mi faceva il verso. E così smisi di parlare in pubblico a meno che non fosse assolutamente necessario”. Prince, LL Cool J, i ‘Run DMC’, i ‘Beastie Boys’, i ‘Public Enemy’, poi Aretha Franklin, James Brown, Stevie Wonder, ‘Sly & Family Stone’… Dalla musica black all’hip-hop alle star della collezione discografica dei genitori: questi gli ascolti della giovane Macy Gray, che per anni ha coltivato il sogno di diventare dottore, ma al momento di iscriversi al College decide di tentare la carriera di produttrice e sceneggiatrice cinematografica. Quindi un trasloco a Los Angeles, dove si iscrive all’USC Film School: qui, però, comincia a stringere al petto la musica, anche grazie a un gruppo di amici che la spinge a scrivere canzoni. Scrive per altri, ma un giorno in sala di incisione non si presenta la cantante e Macy offre le sue corde vocali. Il suo nome comincia così a circolare nell’ambiente, e la fiducia nelle sue possibilità aumenta, fino a seppellire le paure e i ricordi di scherno. Circondata dai suoi amici – tra cui i chitarristi Arrik Marshall, già con i ‘Red Hot Chili Peppers’, e Blackbird McKnight, proveniente dai ‘Funkadelic’ – arriva poco a poco alla notorietà. ‘On How Life Is’ (1999) è il suo primo album: sonorità funk, soul e hip-hop si mescolano ai tempi classici dello swing, e grazie anche alla bellissima “I Try” arriva al successo dei 7 milioni di copie. Nel 2001 arriva “The ID”, e nel 2003 “The Trouble With Being Myself”: due dischi intensi, nei quali emerge soprattutto la sua storia personale, piena di momenti bui come un tentativo di suicidio ai tempi della scuola, o come i complessi per la magrezza, o la sua voce sofferente e la tendenza a essere una “bugiarda patologica”. “Fai riferimento su una psicopatica / il tuo modello è in terapia…” canta Macy, e confessa che deve molto alle persone che le sono state vicine. ‘Big’ segna oggi il suo ritorno sulla scena soul e rivela la firma di eccezionali collaborazioni del calibro di Will.I.am dei ‘Black Eyed Peas’, Natalie Cole, Justin Timberlake, Fergie, Nas e Linda Perry. 12 brani che riprendono le esperienze della cantante (dall’abbandono da parte del marito in “Finally Made Me Happy”, all’essere una mamma single in “What I Gotta Do”, ai bei ricordi passati in “Ghetto Love” e “Glad You’re Here”) e rilanciano speranze (come quella di trovare la persona giusta, in “One”, e la possibilità d’invecchiare con lui, in “Slowly”). Ma in ‘Big’ May trova anche lo spazio per prendere un po’ in giro la società, come in “Treat Me Like Your Money” e “Strange Behavior”, e questo a significare che è stata, è e probabilmente sarà sempre in grado di farsi spingere dalle note per non lasciarsi andare.