Viviamo in una società che premia l’iperproduttività, idolatra l’efficienza e misura il valore umano in base a quante cose fai in un giorno.
Svegliati alle 6, bevi acqua tiepida con limone, vai a correre, fai journaling, conquista il mondo e rispondi alle mail con gratitudine.
Ah, e sorridi. Sempre. Altrimenti sei tossica.

In questo contesto, fermarsi è visto quasi come una colpa.
E riposare? Un lusso da giustificare con certificato medico e cartella clinica allegata.

Ma ecco la verità:
Non sei pigra.
Non sei sbagliata.
Non stai fallendo.
Sei in risparmio energetico. E va benissimo così.

Il concetto di “risparmio energetico emotivo”

Hai presente quando il telefono entra in “modalità batteria ridotta”?
Spegne le animazioni, toglie gli aggiornamenti in background, abbassa la luminosità.
Non smette di funzionare.
Semplicemente, protegge quello che gli resta.

Bene.
Anche tu, a volte, entri in modalità risparmio energetico.
Non vuoi parlare, né uscire, né ottimizzare il tempo.
Il tuo corpo e la tua mente stanno facendo ciò che la cultura della performance non sa fare:
preservarsi.

E no, non è pigrizia.
È intelligenza biologica.
È sopravvivenza emotiva.
È ascolto del proprio limite, anche se non hai l’app per monitorarlo.

I segnali che ti stai “fermata bene” (e non solo “lasciata andare”)

  1. Senti il bisogno di riposare prima di esplodere, non dopo.
    Hai iniziato a riconoscere i segnali: la stanchezza che non è sonno, il fastidio che non è rabbia, il vuoto che non è noia.
    E ti fermi. Non perché ti arrendi, ma perché ti rispetti.
  2. Ti prendi mezz’ora solo per esistere.
    Non fai nulla di “utile”. Guardi fuori dalla finestra. Ti stendi sul letto. Mangi lentamente. Senti il corpo.
    È noioso? Forse.
    Ma anche curativo.
  3. Smetti di cercare la soluzione e inizi a sentire il sintomo.
    Invece di googlare “produttività durante il burnout”, ti chiedi: che succede dentro?
    E lo ascolti, senza giudizio.

 La colpa del riposo: da dove viene?

L’idea che fermarsi sia fallire ci arriva da lontano.
Famiglia, scuola, lavoro: in ogni ambito, la stanchezza è stata normalizzata, il riposo marginalizzato.
Ci hanno insegnato che la fatica è virtù.
Che “chi dorme non piglia pesci”.
E che “poi riposi da morto”, come se questa fosse un’ambizione condivisibile.

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Il riposo non è una pausa dalla vita. È una parte fondamentale della vita.
Non è il tempo “vuoto” tra due attività. È il tempo pieno in cui torni a te.

Come riposare davvero (senza sentirti in difetto)

1. Dai al riposo una forma. E un posto.

Stendi una coperta. Accendi una candela.
Crea uno spazio per rallentare.
Così come organizzi le call o la palestra, organizza anche il tuo “non fare”.

2. Metti il telefono lontano. Lontanissimo.

Lo so, lo so. È difficile.
Ma scorrere meme in loop non è riposo. È sonno cerebrale indotto con sovraccarico visivo.
Chiudi gli occhi. O aprili. Basta che siano i tuoi.

3. Scegli un’attività “inutile” che ti piace.

Colorare. Camminare senza meta. Annusare una crema idratante e pensare alla vita.
L’inutilità è terapeutica.
Ti ricorda che puoi esistere anche senza prestazione.

4. Respira. Davvero.

Sì, anche questo.
Respira con consapevolezza. Tre minuti. Nessuna app. Nessuna aspettativa. Solo te che torni.

Il lusso radicale della lentezza

Riposare è ribellarsi.
È dire al mondo che non sei una macchina, ma una creatura che sente, che si stanca, che ha bisogno di pause senza doverle spiegare.

E se qualcuno ti dice che sei pigra, rispondi:
“Sono una batteria intelligente. E tu sei in modalità aereo.”