Nel guardaroba femminile, pochi capi hanno attraversato i decenni con la stessa autorevolezza del tailleur. Non è solo un completo giacca e gonna (o pantalone) – è un manifesto cucito, una dichiarazione di stile e potere, una sottile ribellione contro la superficialità. Da Coco Chanel alle sfilate contemporanee, il tailleur è cambiato con i tempi, adattandosi e trasformandosi, ma sempre con un unico scopo: vestire una donna che sa esattamente cosa sta facendo. O almeno vuole sembrare tale.
Coco Chanel: la rivoluzione in tweed
Nel 1925, Coco Chanel decide che le donne hanno bisogno di respirare. Letteralmente. Abbandona corsetti, orpelli e decorazioni inutili e introduce il suo celebre tailleur in tweed. Linee dritte, silhouette sobria, giacca boxy e gonna al ginocchio: un look semplice e rivoluzionario. Il tailleur Chanel non è fatto per sedurre, ma per camminare, lavorare, vivere. Ed è per questo che seduce comunque.
Anni ’40–’50: il potere è (di nuovo) femminile
Durante la guerra e il dopoguerra, il tailleur assume un ruolo quasi politico. Spalle larghe, vita stretta: è la “silhouette a clessidra” resa celebre da Christian Dior con il New Look. Una celebrazione della femminilità, sì, ma anche un ritorno alla forma, al rigore. Il tailleur non è più solo un abito: è un’armatura sociale per la donna che si reinserisce nel mondo del lavoro (ma resta perfettamente truccata).
Anni ’80: il tailleur con le spalline (e l’ego)
Benvenuti nell’era del power dressing. La donna in carriera – che Wall Street teme e ammira – indossa tailleur con spalline che potrebbero funzionare come airbag in caso di collisione. I colori si fanno decisi, i tessuti strutturati. È la risposta della moda al capitalismo rampante: se devi essere ascoltata in una sala riunioni piena di uomini in doppiopetto, meglio farlo a suon di shoulder pads.
Anni ’90–2000: relax, minimalismo e sperimentazione
Meno volume, più versatilità. Il tailleur si “rilassa”: arrivano i pantaloni larghi, le giacche oversize, il ritorno del bianco e del nero, il regno di Armani. È il momento del minimalismo sofisticato, in cui anche una giacca destrutturata può dire: “Sono competente, ma anche cool.” Nei 2000, però, il tailleur flirta con la pop culture, si glittera, si accorcia, si snatura. Tutto è permesso. Forse troppo.
Oggi: tailleur fluido, genderless
Nel 2020 in poi il tailleur torna protagonista. La differenza? Adesso può essere tutto e il contrario di tutto. Croppato, in pelle, in lino grezzo o in tessuto tecnico. Oversize o sartoriale. Indossato con sneakers, stivali, tacchi o a piedi nudi sul parquet della call di lavoro. Le passerelle lo reinventano di stagione in stagione, mentre la generazione Z lo riscopre con quell’entusiasmo di chi pensa di aver inventato la ruota.
Sotto il vestito, davvero una storia
Il tailleur è più di un outfit: è una narrazione tessile, un compromesso elegante tra potere e grazia. Ogni suo dettaglio – dalla forma del colletto alla scelta del bottone – racconta qualcosa del tempo in cui è stato creato, e della donna che lo indossa.
E oggi più che mai, in un’epoca dove l’identità è fluida, mutevole, sfaccettata, il tailleur continua a fare ciò che ha sempre fatto: prendere forma attorno a chi siamo, non a ciò che dovremmo essere.