Come tradizione vuole, anche l’Arpagone di Luigi De Filippo viene condannato alla solitudine dalla sua proverbiale avarizia, mettendo ancora una volta il suo denaro davanti ad ogni forma d’amore. Eppure questa singolare versione presenta grandi cambiamenti annunciati fin dal prologo della commedia che viene affidato ad un Lampionaio napoletano il quale declama la fine del Regno dei Borboni, l’arrivo di Garibaldi e l’inizio del Regno dei Savoia. Luigi De Filippo si discosta infatti dal testo francese e trasporta l’azione scenica da Parigi alla Napoli del 1860 quando, con l’arrivo di Garibaldi vittorioso, nasceva l’Unità d’Italia. Altra novità è l’uso del dialetto napoletano, quello dei De Filippo, italianizzato e comprensibile in tutta Italia, un’Italia –appunto- unita.Pur mantenendo una certa fedeltà alla storia classica, la versione lascia intravedere parecchi spunti ‘moderni’ sulla fine di un’era e l’inizio di un nuovo periodo storico. Di conseguenza, anche i dialoghi sono diversi, essendo caratterizzati da una comicità tipicamente partenopea, rigorosamente in linea con un’altra tradizione drammaturgica, quella umoristica dei De Filippo.L’Avaro di Luigi De Filippo, interpretato dal Maestro stesso, è un uomo legato a un mondo e a privilegi che stanno tramontando e che, coi tempi nuovi, porteranno all’Unità di una Nazione. I personaggi della commedia sono individui che da sudditi devono crescere per diventare cittadini. Un evento storico, visto con una satira tutta napoletana. In scena undici giovani attori, alcuni legati da esperienze professionali passate, altri scelti quest’anno attraverso i consueti provini effettuati dal Maestro all’inizio di ogni nuova produzione. Le scene e i costumi sono di Aldo Buti.