Tutto cominiciò da un fotogramma in bianco e nero, tratto dal film Niagara: nacquero così i ritratti pop della diva più amata al mondo, Marilyn Monroe. L’autore? Andy Warhol. Il suo lavoro divenne compulsivo e nei 4 mesi successivi il suicidio dell’attrice, nel 1962, portò a termine più di venti serigrafie dai colori brillanti che consegnarono la diva all’immortalità.

Ma la pittrice Dorothy Podber, amica di Warhol, nel 1964, entrò nello studio dell’artista, a Manhattan, e sparò un colpo di pistola in fronte alla diva. Warhol, da artista eccentrico, conservò le tele con il foro e le trasformò in opere d’arte.

Proprio uno di questi ritratti è esposto a Roma fino al 28 settembre a Palazzo Cipolla (Fondazione Roma Museo). Insieme al Blue Shot Marilyn oltre 150 opere provenienti dalla collezione di Peter Brant, amico di Warhol che per primo  acquistò la sua prima opera nel 1967,la mitica Campbell’s Soup (una semplice lattina di zuppa, in vendita nei supermarket) e continuò per oltre quaranta anni.

Un allestimento che vuole “raccontare” l’uomo, l’artista, l’amico. Così il nostro percorso viene segnato dai primi disegni di Warhol fino alle scenografiche Ultime Cene e gli autoritratti, passando per opere immortali come le Electric Chairs, i coloratissimi ritratti di Mao, Elvis, Liz Taylor e Basquiat, i fiori… Capolavori notissimi ma anche opere meno conosciute come una serie di Polaroid che ritraggono personaggi del jet set e “Oxidation Painting“(1978), una tela di circa due metri di lunghezza, dipinta con pigmenti di rame e urina (inquietante).

Ma l’atmosfera diventa elettrica e la suggestione ci proietta nel 1962 quando ci ritroviamo nella sezione dedicata alla “Silver factory“lo studio creato dal padre della pop art al quinto piano di 231 East 47th Street, in Midtown Manhattan. L’edificio è stato demolito ma a Palazzo Cipolla le pareti ricoperte di carta stagnola e la vernice d’argento ricreano quello stesso spazio che ha accolto un’intera generazione di artisti.